Gli open world sembrano essere diventati una caratteristica quasi imprescindibile per i videogiochi indirizzati al grande pubblico odierno: praticamente ogni titolo altisonante ne propone una variante che spesso si distingue dalla concorrenza per poco o nulla, salvo le dovute eccezioni.
Per comprendere il titolo di questo articolo, c’è bisogno di porsi prima un paio di domande: cos’è un open world e cosa costituisce un buon open world?

ORIGINI, EVOLUZIONE E DEFINIZIONE DI “OPEN WORLD”

Da Wikipedia: “Con il termine open world (in italiano “mondo aperto”) si intende un videogioco in cui il giocatore può muoversi liberamente all’interno di un mondo virtuale; infatti è data ampia libertà al giocatore il quale può scegliere come e quando affrontare obiettivi o dedicarsi alla semplice interazione con l’ambientazione e ciò che la popola.”

Più si torna indietro nel tempo e più è difficile individuare un gioco che costituisca l’ideale di open world come lo intendiamo oggi.
Ancor più difficile è individuare un capostipite, ma si può risalire addirittura ad avventure testuali degli anni ’70 come “Colossal Cave Adventure” (1976), nel quale il giocatore deve esplorare un vasto sistema di grotte e caverne per ottenere le ricchezze celate al loro interno.

L’incipit di Colossal Cave Adventure

Da allora ne è passato di tempo, soprattutto in ambito tecnologico, e, dopo molta iterazione e tanti tipi di mondi diversi, siamo arrivati a un’idea grossomodo uniforme di cosa significhi “open world”, perlomeno agli occhi del grande pubblico: serie come Grand Theft Auto, Assassin’s Creed, The Witcher o giochi come The Legend of Zelda Breath of the Wild sono tutti annoverabili come tali e presentano intere città, regioni o nazioni da esplorare a piedi, in auto, a cavallo e chi più ne ha, più ne metta.

Però attenzione: non è corretto definire “open world” un genere come invece sono, ad esempio, “azione” o “gioco di ruolo”. L’open world è una caratteristica, ma come tale può essere mischiata a qualsiasi genere. Per capirci, The Elder Scrolls II: Daggerfall (gioco di ruolo con open world) non è neanche lontanamente paragonabile a un Burnout Paradise (gioco di guida arcade con open world). In sostanza, sarebbe più corretto dire che un gioco abbia l’open world, piuttosto che un gioco sia open world.

Un esempio di evoluzione dell’open world in due capitoli della stessa serie
È importante tenere a mente queste informazioni, soprattutto quando ci si trova a discutere con persone che accomunano superficialmente giochi con open world e/o generi molto diversi, sentenziando che “X è un open world migliore di Y perché (inserire motivazione arbitraria)”. Ad esempio mi prudono sempre le mani quando sento bestialità del tipo: “GTA è meglio di Yakuza perché il mondo è più grande e si possono rubare le macchine”.

In ginocchio sui ceci per 30 minuti, filare.

Riassumendo:
1) L’open world è una caratteristica, non un genere
2) Esistono diversi tipi di open world, anche appartenenti a generi diversi
3) Gli open world si sono evoluti nel tempo e la loro standardizzazione nei titoli moderni di maggior richiamo ha portato a molta confusione e a giudizi parziali e affrettati da parte del grande pubblico

L’OPEN WORLD NON ASSICURA UN’ESPERIENZA MIGLIORE

Oggi fin troppo spesso l’open world viene implementato quasi per dovere. Successi incredibili come Grand Theft Auto hanno reso il concetto talmente popolare che oramai sentire le parole magiche “open world” causa un riflesso quasi pavloviano nell’utenza, la cui immaginazione comincia a cavalcare verso sterminati orizzonti di possibilità, spesso senza fermarsi a riflettere sul fatto che un mondo aperto non equivale automaticamente a un buon mondo aperto.
Nelle mani sbagliate (spesso anche a causa di iterazioni troppo vicine tra loro cronologicamente) un open world può trasformarsi nel migliore dei casi in qualcosa di poco originale e già visto o, nel peggiore, in una noia mortale mal progettata che va solo a diluire l’esperienza interattiva, piuttosto che arricchirla.

L’open world di Assassin’s Creed Unity (2014): così tante attività, così poca sostanza

Quante volte ci siamo trovati di fronte a mondi vastissimi, ma in ultima analisi semivuoti e poco interattivi?

Quante volte abbiamo giocato titoli open world la cui “quest principale” appariva totalmente distaccata da missioni e attività secondarie?

Quante volte le quest per spezzare un po’ il ritmo si sono tradotte in “raccogli tot oggetti sparsi per la mappa” o in semplici fetch quest (cioé “questo oggetto qui devi portarlo lì”)?

Quante volte, insomma, l’esplorazione del mondo è spinta da attività fini a se stesse, integrate male e in ultima analisi noiose?

All’aumentare delle dimensioni del mondo di gioco e della conseguente libertà di movimento e d’azione del giocatore, diventa sempre più difficile riuscire a creare un’esperienza coesa, coerente, libera e divertente allo stesso tempo. La non linearità intrinseca dell’open world è un enorme ostacolo al ritmo della narrazione e fornire un “percorso principale” al cui esterno troviamo disseminata una marea di attività simili tra loro, quasi “copia-incollate”, è decisamente un metodo che pensa più al portafogli dello sviluppatore che all’esperienza del giocatore.

A buon intenditor, poche parole

Pian piano i suddetti aspetti (difetti?) stanno cambiando, per non dire che stiano rapidamente diventando malviste reliquie del passato; basti pensare a The Legend of Zelda Breath of the Wild, che ricompensa i giocatori che raccolgono tutti quanti i Semi Korogu (900 collezionabili, in gran numero introvabili senza una guida, di cui è necessario raccogliere solo una parte per aumentare lo spazio dell’inventario)… con l’inutile statuina di una cacca dorata.

The Witcher 3: Wild Hunt è un altro fulgido esempio dell’evoluzione degli open world. Le missioni principali si intrecciano con le secondarie, quasi mai povere di idee o fini a se stesse, restituendo la sensazione di un mondo che vive, respira e sussiste. Il mondo è vasto e pieno di attività interessanti che non lasciano il tempo che trovano.

Insomma, il futuro si prospetta decisamente più interessante e divertente, ma se vi dicessi che Shenmue aveva già risolto molti di questi problemi, mostrando la via da seguire in tempi non sospetti?

GLI OPEN WORLD DI SHENMUE E SHENMUE II

Ora che abbiamo esaminato a grandi linee cos’è un open world e cosa costituisce un buon open world, possiamo parlare con cognizione di causa di Shenmue.

Shenmue viene pubblicato nel 1999 sul compianto Dreamcast di SEGA, con il compito di trainare le vendite della console. Per fare un parallelismo, Shenmue sta al Dreamcast come The Legend of Zelda Ocarina of Time sta al Nintendo 64 e, proprio come Ocarina, è un gioco ambizioso, innovativo e tecnologicamente e artisticamente avanti anni luce rispetto alla concorrenza. Buona parte di tale innovazione è il suo open world, oggi decisamente piccolo, ma ai tempi incredibilmente vasto, profondo e dettagliato.

Alcuni fra i migliori titoli del 1999 (da sinistra): Final Fantasy VIII, System Shock 2, Unreal Tournament, Silent Hill, Gabriel Knight 3, Shenmue

L’open world di Shenmue è diviso in zone e non è quindi esplorabile da un capo all’altro senza imbattersi in schermate di caricamento, un compromesso dovuto alla tecnologia dell’epoca. Yokosuka, la città giapponese (ricostruita ispirandosi alla vera Yokosuka) nella quale è ambientato il gioco, è suddivisa in:

  • Yamanose: la via in cui si trova la Residenza Hazuki, la casa esplorabile del protagonista
  • Sakuragaoka: il quartiere residenziale che separa Yamanose da Dobuita Street
  • Dobuita Street: il quartiere commerciale, ricco di attività
  • New Yokosuka Harbor: il porto commerciale della città

    La mappa completa di Shenmue (credit: Shenmue Dojo)

Oggi potrebbe non sembrare nemmeno un open world, ma nel 1999 era qualcosa di incredibile.
Considerate che GTA III, il gioco che più di tutti ha sdoganato e popolarizzato il concetto di mondo aperto, sarebbe stato pubblicato solo due anni dopo, nel 2001.

Nello stesso anno di GTA III viene pubblicato, sempre su Dreamcast, Shenmue II. Il dettaglio grafico è ancora più impressionante, i modelli poligonali sono più dettagliati e il mondo è esponenzialmente più grande.
Anche Shenmue II è diviso in zone e anche qui sono presenti caricamenti fra di esse, ma non è ambientato tutto nella stessa città. Anche in Shenmue II troviamo ricostruzioni ispirate a luoghi reali, stavolta della Cina:

Hong Kong:

  • Aberdeen: zona portuale sulla costa meridionale dell’isola di Hong Kong, suddivisa in tre aree, cioé Worker’s Pier, Fortune’s Pier e Queen’s Street; qui il giocatore troverà opportunità di lavoro, bancarelle e gioco d’azzardo
  • Wan Chai: area metropolitana sulla costa settentrionale dell’isola di Hong Kong, suddivisa in sette zone, cioé Green Market Quarter, South Carmain Quarter, Wise Men’s Quarter, White Dinasty Quarter, Golden Quarter, Lucky Charm Quarter e Scarlet Hills; a seconda del quartiere troveremo negozi, templi, centri commerciali, abitazioni, chioschi, gioco d’azzardo…
La mappa della zona di Hong Kong in Shenmue 2 (credit: Shenmue Dojo)

Città murata di Kowloon (negli anni in cui è ambientato il gioco era un covo di criminalità fuori dal controllo del governo), divisa in cinque zone; non specificherò altro se non i nomi per lasciarvi il piacere della scoperta nel caso decidiate di giocare a Shenmue II:

  • Dimsun Quarter
  • Dragon Street
  • Stand Quarter
  • Thousand White Quarter
  • Yellow Head Building
Foto aerea della vera Città murata di Kowloon a fine anni ’80 (foto di Lands Department)

Infine c’è un’ultima zona, ma basta spoiler, tanto avrete capito il succo: Shenmue II è molto, molto, MOLTO più grande di Shenmue.

Veniamo al nocciolo della questione: come possono degli open world a zone così vecchi essere paragonati o persino tener testa e superare i loro discendenti moderni? In tre parole: dettaglio, atmosfera e interazione. Riassumendo ulteriormente in una parola sola: immersione.

MONDI VASTI, MA NON VUOTI

Occhio a non spendere tutta la paghetta in pupazzetti! (Image credit: mhaokam on imgur)

I due Shenmue traboccano di attività secondarie che sono parte integrante del mondo di gioco. Shenmue 1 e 2 non chiedono mai al giocatore di raccogliere tot oggetti sparsi in giro per il mero gusto di togliere delle icone da una mappa o di sbloccare un trofeo/achievement. I giochi sono stracolmi di oggetti collezionabili, ma non sono indicati sulla mappa come se fossero qualcosa di importante. Ti piacciono gli oggetti collezionabili? Prego, divertiti a trovarli tutti, ma è al 100% una libera scelta. Personalmente non mi sono mai interessati, ad esempio, i capsule toys in Shenmue, ma sono lì e volendo possono svolgere anche una funzione importante all’inizio di Shenmue 2, se si è deciso di comprarli. Nessuna attività è fine a se stessa, anche se potrebbe sembrarlo.

 

Ryo si allena con un maestro di arti marziali

Tutte e attività secondarie sono un modo per immergersi ulteriormente nel mondo di Shenmue e per immedesimarsi nel protagonista. Servono soldi? Puoi andare a lavorare; probabilmente ti annoierai un po’, ma a fine giornata riceverai la tua paga. Ti annoi o devi aspettare un certo orario per il prossimo evento? C’è la sala giochi nella quale spendere il sudato stipendio giocando a dei classici SEGA come Hang-On o Space Harrier. Vuoi allenarti per combattere al meglio? Puoi farlo in un parcheggio, col risultato che la coordinazione del giocatore migliorerà di pari passo con l’efficacia delle varie mosse nel gioco. Vuoi nutrire quel micetto dagli occhi dolci? Puoi comprargli del latte o del pesce nel Tomato Store. E così via. Mi rendo conto che non sia una filosofia che possa andare a genio a chiunque, ma è innegabile che l’immersione nei panni di Ryo Hazuki è assicurata, soprattutto quando ogni attività è curata nei minimi dettagli.

Le attività sono inoltre disseminate in modo organico al mondo. Non troverete un lavoro onesto nel quartiere del gioco d’azzardo, ma se vi va bene un impiego da gestore di Lucky Hit (mestiere più divertente, ma più rischioso in termini di guadagni), prego!

Il dettaglio estremo non si manifesta solo in queste attività, ma pervade ogni anfratto di gioco.
Ogni NPC (“Non-playing Character”, cioé i personaggi non controllati dal giocatore) ha un suo aspetto unico, una sua vita, un suo lavoro, i suoi passatempi, una sua voce diversa da tutti gli altri e i suoi personalissimi dialoghi. Ditemi voi in quanti giochi open world riuscireste a riconoscere un NPC qualunque, potendo arrivare a conoscere a menadito le sue abitudini. Divertente? È relativo. Immersivo? Decisamente.
L’interazione con l’ambiente è fenomenale, soprattutto per l’epoca.

L’esplorazione può dare grandi soddisfazioni

Vi porto un esempio personale: stavo giocando a Shenmue 2 per la prima volta, tra l’altro pochi anni fa, e a un certo punto arrivo in una strada con diverse porte anonime. In Shenmue 1 gran parte di tali porte non risultavano in interazioni particolari oltre il “non c’è nessuno in casa”; in Shenmue 2, mi dirigo verso una porta a caso e busso. La porta si apre e un ragazzino mi dice che ora non possono darmi retta perché stanno pranzando (nel gioco era tipo mezzogiorno), ma mi indirizza verso un altro luogo in cui chiedere informazioni. Per la strada vedo un’altra porta anonima e mi aspetto la stessa interazione, invece scopro un negozietto segreto con un distributore di capsule toys speciale. Esco e fermo un passante, scoprendo che molti dei passanti sono disposti a indicarmi la strada o addirittura ad accompagnarmi dove devo andare (suggerimento: chiedete ai bambini di accompagnarvi, corrono più velocemente)! Considerando che stiamo parlando di un gioco del 2001, la mia mascella sbatté per terra fortissimo.

Anche la progressione di storia e abilità del protagonista è strettamente legata al mondo e ai suoi personaggi. Le nuove mosse di arti marziali vi verranno insegnate (per la maggior parte) da maestri, magari facendovi svolgere prima un’attività per calmare i nervi e testare la vostra pazienza. C’è un caso in Shenmue 2 in cui Ryo (e il giocatore) sono impazienti di imparare una nuova mossa, ma il maestro vi costringerà prima a un compito palesemente tedioso. Ecco, se in quel caso giocando pensate “che palle”, gli sviluppatori hanno centrato l’obiettivo. Non c’è solo Ryo in viaggio per migliorare la sua abilità di lottatore, voi siete in viaggio con lui. Voi siete lui. Immersione a palate.
Vi ho parlato dell’1% delle attività e particolarità del mondo di Shenmue 1 e 2, ma spero di aver chiarito cosa intendo quando parlo di immersività: un mondo particolareggiato, interattivo in modo intelligente e che ancora oggi riesce a stupire per alcune delle sue caratteristiche. Molti titoli AAA moderni farebbero bene a prendere appunti.

CONCLUSIONE

Uno scorcio di Hong Kong in notturna

Tenendo presente che sono giochi usciti quasi 20 anni fa e con un pizzico di tolleranza verso qualche “ruga virtuale”, i due Shenmue possono restituire ancora oggi un senso di grandezza e stupore. Anche se non si tratta di veri e propri open world in senso moderno, i mondi di gioco sono fra i più dettagliati e meglio strutturati di tutti i tempi. Spero che con questo articolo sia riuscito a farvi capire perché ancora oggi ci si esalta per questo franchise sfortunato e che meriterebbe decisamente una riedizione rimasterizzata in HD.

E ora scusate, torno a contare il tempo che manca all’uscita di Shenmue 3.