Non mi sto affatto rispecchiando nelle parole di chi afferma che Shenmue sia invecchiato così male da minare alla base il senso della sua riscoperta da parte di chi ci giocherà per la prima volta nel 2018, grazie alla raccolta.

Ho avuto la fortuna di poter recuperare il capolavoro di Yu Suzuki solamente durante la scorsa estate, grazie ad un caro amico (ciao Lorenzo!) che mi ha prestato il suo Dreamcast, una console che ai tempi fu per me solo qualcosa di mitologico che credo di aver sfiorato soltanto in qualche centro commerciale, quando alzavo gli occhi dal mio Game Boy Color.

 

Dopo anni e anni passati a leggerne il nome sulle riviste, ricambiando ogni volta lo sguardo duro e determinato di quel ragazzo divenuto uomo troppo in fretta, Ryo Hazuki, finalmente mi trovai di fronte alla schermata di avvio di quel gioco così speciale e, diamine, quell’estate ha cambiato per sempre il mio modo di vedere i videogiochi e persino il mio approccio verso alcuni aspetti della mia vita.

 

Non lo nego, proprio in quei mesi stavo attraverso il mio periodo più nero in assoluto: in Shenmue, passeggiando al crepuscolo tra i quartieri di Yokosuka, scorsi una sensibilità raffinata verso i valori più importanti della vita che, insieme al suo incomparabile senso di immersione e ai suoi momenti emotivamente indimenticabili, mi aiutarono ad affrontare e superare quel periodo con la serena determinazione che era necessaria.

Lo so, è un fatto squisitamente personale: ma se un videogioco è in grado di trasmettere ciò, e di farlo a distanza di quasi venti anni dalla sua uscita, credo che controlli, meccaniche e il resto degli aspetti più smaccatamente ludici siano relegati ad un ruolo assolutamente secondario.
Provate Shenmue, immergetevi cuore e mente nel suo incredibile mondo e domandatevi se nel 2018 esiste ancora qualcosa di simile.


Forse conoscete già la risposta.

Enrico Di Piramo.